mercoledì 24 marzo 2021

“Al limite della notte” di Michael Cunningham

TITOLO: Al limite della notte (Titolo originale “By Nightfall”)
AUTORE: Michael Cunningham
CASA EDITRICE: Bompiani Editore
GENERE: Narrativa
TRADUTTORE: Andrea Silvestri
Peter Harris, il protagonista di “Al limite della notte” del Premio Pulitzer Michael Cunnigham, è un gallerista di New York di quarantaquattro anni nella cui vita, almeno in apparenza, sembra non mancare nulla: ha un lavoro che può considerarsi soddisfacente e di successo, il suo matrimonio con Rebecca, donna affascinante e determinata, sembra procedere senza problemi, sua figlia Bea è andata a Boston per frequentare il college.
In realtà le cose non sono davvero come sembrano: la sua galleria d’arte non riesce a fare quel salto di qualità necessario per potersi collocare in una posizione di primo piano, la relazione con sua moglie si sta raffreddando ogni giorno di più, per non parlare del difficile rapporto con la figlia che ha abbandonato gli studi per lavorare nel bar di un albergo e a stento gli rivolge la parola: «Che livello di disperazione bisogna raggiungere per sopportare la separazione, andarsene e vivere la propria vita senza qualcuno che ci conosce a fondo?»
Peter cerca di dissimulare la propria infelicità, ma al di là delle beghe quotidiane, traspare la sua irrequietezza, una tensione emotiva che lo spinge a cercare qualcosa che vada oltre ciò che lo circonda: «Riesce a sentire qualcosa, qualcosa che si addensa ai confini del mondo. Un’attenzione furtiva, un nembo oro scuro tempestato di luci viventi come pesci nelle nere profondità oceaniche; un ibrido tra una galassia, il tesoro di un sultano e una divinità caotica, imperscrutabile». Peter è un attento estimatore della bellezza in tutti i campi e il suo anelito principale è riuscire a percepire una bellezza superiore che gli consenta di elevarsi, pur avvertendone i pericoli: «È trito, è sentimentale, non ne parla con nessuno, ma in certi momenti – questo ad esempio – lo sente come l’aspetto più essenziale della sua personalità: la convinzione, nonostante tutte le prove del contrario, che una qualche tremenda, accecante bellezza stia per discendere e, come l’ira di Dio, risucchiare tutto, rendendoci orfani, liberandoci, lasciandoci lì a domandarci come faremo a ricominciare da capo».
Cunningham, con una trama in apparenza lineare, ha dato vita a un romanzo complesso e ricco di sfumature, con una narrazione non sempre agevole, a tratti ipnotica, che quasi travolge il lettore attraverso il flusso di coscienza di Peter, il vagare della sua mente tra sensazioni, aspirazioni e desideri, con continue digressioni, flashback del suo passato, dialoghi quasi fulminei. Si tratta, senza dubbio, di una scrittura di altissimo livello, densa di riferimenti artistici e letterari, quasi un romanzo – saggio dedicato all’impatto dell’arte e della bellezza sull’umanità.
Fulcro della narrazione è l’arrivo di Ethan, detto Erry, il fratello di sua moglie Rebecca, che trascorre alcuni giorni nel loro appartamento. La speranza di Rebecca è che suo fratello possa finalmente mettere la testa a posto, trovare un lavoro e iniziare un’esistenza normale, augurandosi che Peter possa aiutarla a raggiungere questo obiettivo. Erry è molto giovane, ultimo arrivato in una famiglia che forse lo ha adorato fin troppo senza aiutarlo davvero a crescere, ha avuto problemi di dipendenza dalle droghe, ma è apparentemente pulito da un anno. Il suo fascino giovanile, il suo modo di fare totalmente disinibito, la sua capacità di sedurre praticamente chiunque sono tutti elementi che non lasciano indifferente Peter. Il gallerista inizia a provare una misteriosa attrazione per suo cognato, una sensazione che finora non aveva mai provato per un uomo, se non in qualche sporadica fantasia, e che lo induce non solo a porsi interrogativi sulla propria sessualità, ma anche a cercare di capire i motivi di tale seduzione: «È innegabile che sia un’altra Rebecca, ma non è tanto questione di somiglianza, quanto di vera e propria reincarnazione […] Non è difficile immaginarlo seduto da buon discepolo al bordo di un giardino sacro. Anzi, assomiglia un po’ a un san Sebastiano rinascimentale, rapito nella contemplazione. Ha queste onde di capelli color moka, queste gambe e queste braccia muscolose, di un bianco roseo».
L’arte rimane, comunque, un tema fondamentale di questo libro. Peter è alla ricerca di artisti talentuosi che possano esporre nella sua galleria, garantendo un buon ritorno in termini di vendite, ma non riesce a piegarsi all’idea di ricercare il solo profitto, nutrendo, invece, la speranza di poter fare passi avanti anche nella ricerca estetica e artistica, nello «sforzo di trovare l’equilibrio tra passione e ironia, tra bellezza e rigore, aprendo nel far ciò uno spiraglio nella sostanza del mondo». Ritorna spesso l’idea della ricerca di una bellezza superiore, di un genio artistico che possa consentire di fare il salto di qualità: «Peter ama i brevi periodi durante i quali la galleria è sgombra d’arte. C’è qualcosa nell’austera perfezione dello spazio che promette un’arte superiore a quella che qualunque umano, per quanto brillante, può produrre. […] L’arte che realizziamo vive in un equilibrio instabile con l’arte che possiamo immaginare, l’arte che la sala si aspetta».
Peter ama sottolineare spesso il suo modo di concepire l’arte come strumento per catturare la giovinezza, quella situazione ideale che ognuno di noi brama di possedere, e attraverso l’osservazione di opere di Rodin e Manet mostra come queste siano l’unico mezzo per garantire l’immortalità: «Adesso è immortale, è una grande bellezza storica, essendo stata purificata dall’attenzione di un grande artista. Certo, non possiamo fare a meno di notare che Manet evitò di ritrarla vent’anni dopo, quando il tempo aveva cominciato a fare il suo lavoro. Il mondo ha sempre venerato la giovinezza. Che il mondo sia maledetto»
L’autore nello svolgimento della narrazione mette in luce tutte le sensazioni contrastanti che albergano nell’animo di Peter. Vi è il rammarico di non essere stato un buon padre, di non essere riuscito ad accettare la figlia per ciò che era e di aver fatto pesare nel loro rapporto le perplessità su alcuni aspetti della vita della ragazza e in questo suo esame di coscienza il rimpianto si alterna al cinismo, nel tentativo di scrollarsi di dosso alcune colpe: «Stanotte sente il bisogno di lasciarle un messaggio. Sente il bisogno di lasciarle un bouquet davanti alla porta di casa sua, sapendo che i fiori appassiranno e moriranno lì».
Vi è lo struggimento per suo fratello Matthew, morto molto giovane (probabilmente per aver contratto l’HIV anche se non viene mai esplicitato): è difficile per Peter accettare che la vita di una persona cui si era sentito molto legato possa essersi risolta nel nulla così presto, per cui avverte un estremo bisogno di catturare la giovinezza nell’istante in cui si manifesta, di «favorire la creazione di qualcosa di meraviglioso, di qualcosa in grado di resistere al tempo». Nella sua mente ricorre spesso un ricordo molto nitido legato a suo fratello e a una cara amica di cui Peter si era invaghito da adolescente, con il rimpianto di non poter avere più ciò che è stato: «Non era questo il vero messaggio di quella giornata, decenni fa, quando Matthew e Joanna camminarono nelle secche del lago Michigan e apparvero a Peter come l’incarnazione della bellezza?».
“Al limite della notte” è, dunque, un romanzo ricco di arte e di sensualità nella sua forma più elevata, una dedica appassionata alla bellezza e alla giovinezza, queste ultime incarnate nel bellissimo Ethan, seducente e sfrontato in cui Peter rivede qualcosa che gli ricorda sia suo fratello che sua moglie. Le emozioni contrastanti nei confronti di questo giovane disperato, licenzioso, sregolato, tossico, saranno una vera e propria guida emotiva e porteranno Peter a esplorare se stesso e i propri desideri in una narrazione intensa e coinvolgente: «La bellezza – la bellezza che Peter desidera ardentemente – è dunque questa: un viluppo umano di grazia fortuita, destino tragico e speranza».

VALUTAZIONE: 4,5/5

domenica 7 marzo 2021

“Senza di te” di Marley Valentine

TITOLO: Senza di te (Titolo originale: “Without you”)
AUTORE: Marley Valentine
CASA EDITRICE: Quixote Edizioni
GENERE: Contemporaneo
TRADUTTORE: Federica Noto
Una giovane vita spezzata dal cancro, un lutto doloroso che ha devastato una famiglia, un passato che si rivela sempre più opprimente e offusca qualsiasi prospettiva futura. Non appena ho iniziato a leggere “Senza di te” di Marley Valentine, tutti questi elementi mi sono caduti addosso ferendomi come schegge appuntite e lasciandomi una sensazione di oppressione al petto.
Deacon Sutton è a casa dei suoi genitori nel Montana, suo fratello minore Rhett è morto da alcuni giorni per una forma di leucemia mieloide acuta che gli era stata diagnosticata quando aveva solo diciassette anni e che sembrava ormai in remissione, fino a quando, a ventiquattro anni, non si è presentata più devastante di prima, ormai totalmente diffusa. Il funerale è stato celebrato da due giorni e Deacon si aggira sconsolato per casa, consapevole che la sua famiglia non potrà più essere quella di prima, inevitabilmente scossa nel profondo da questo lutto così tremendo. Si avverte, comunque, fin da subito che la sua sensazione di solitudine e il suo sentirsi fuori posto e a disagio hanno radici molto più lontane.
Il ragazzo sta per partire per un lungo viaggio in auto che lo riporterà nella sua casa a Seattle quando sua madre gli chiede di portare a Julian, il compagno di suo fratello, una scatola contenente alcune cose che Rhett aveva lasciato per lui. Deacon vorrebbe quasi rifiutare, ha sempre provato uno strano sentimento di gelosia nei confronti di quel ragazzo, forse perché più benvoluto di lui in famiglia. Ma quando Deacon vede Julian disteso sul letto, quasi esanime e distrutto dal dolore, un sentimento sconosciuto inizia a farsi strada nel suo petto. Lo aiuta a cambiarsi e non gli nega un abbraccio consolatorio prima di andar via: le lacrime salate di entrambi sono una piccola luce che inizia a schiarire il buio che entrambi condividono.
Posso affermare senza indugio di aver amato moltissimo questo romanzo, un percorso sofferto e intenso di due anime, quelle di Deacon e Julian, il cui istinto li conduce verso un graduale avvicinamento, dopo un anno in cui non hanno mai dimenticato quella notte in cui si sono sentiti così vicini nel dolore. Per entrambi non è in gioco soltanto un necessario processo di elaborazione del lutto: sia Deacon che Julian devono riconsiderare il loro passato, comprendere quale impatto ha avuto sul loro presente e guardare con una prospettiva diversa il futuro che li attende. E tutto questo potranno farlo solo con l’aiuto reciproco e grazie ai sentimenti che, contro ogni probabilità e la loro stessa volontà, stanno nascendo tra loro: «L’indipendenza ti mente, ti dice che starai benissimo da solo. Ma non mi ero mai reso conto, fino a quel momento, di quanto la solitudine facesse male».
Marley Valentine mi ha stupito ed emozionato con la sua scrittura limpida e capace di arrivare dritta al cuore, con il suo stile preciso e ricco di suggestioni poetiche, con una tensione emotiva che non mi ha mai abbandonato durante la lettura, facendomi passare dalla malinconia al sorriso, dal dolore alla visione di un amore talmente profondo da superare qualsiasi barriera. Tutto questo senza cedere mai il passo all’angoscia, ma trasmettendo una sensazione di positività tale da rendere giusto ogni avvenimento narrato.
La narrazione mi ha dato una sensazione di completezza che non sempre riesco a provare nei romanzi che mi capita di leggere, coinvolgendomi e portandomi per mano lungo tutte le fasi del percorso di questi due splendidi protagonisti, grazie anche a una profonda introspezione che ha contribuito a renderli reali, veri, come se potessi vivere ogni evoluzione dei lori sentimenti.
I loro percorsi sembravano destinati a non incrociarsi mai quando alcuni anni prima Julian era entrato nella vita della famiglia Sutton come ragazzo di Rhett e Deacon aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, ma dopo quella notte in cui sensazioni sconosciute avevano iniziato a far breccia nel cuore di Deacon, i due uomini si erano ritrovati di nuovo in Montana per l’anniversario della morte di Rhett, in uno scontro iniziale divenuto ben presto un reciproco sostegno. Dal quel momento l’autrice inizia a svelarci il loro mondo interiore facendoci amare ogni dinamica, ogni progresso nella guarigione delle loro ferite.
Deacon ha dovuto fare i conti con l’essersi sempre sentito inadeguato, soprattutto per colpa di una madre che non ha mai avuto alcuna gratificazione nei suoi confronti, preferendo sempre il figlio più piccolo Rhett. Tutto questo ha influito sulla sua vita, sulla capacità di relazionarsi con gli altri, sul suo essere scontroso e tenebroso, sempre dedito al suo lavoro, alla gestione dell’officina di meccanico che condivide con il suo miglior amico, frutto del suo grande impegno a seguito del trasferimento a Seattle, l’unica cosa che lo faccia davvero sentire realizzato: «La sicurezza che provo quando lavoro su una di quelle macchine mi trasforma in un uomo che io stesso stento a riconoscere. Concentrato. Con i piedi per terra. Completo». Tutta la rabbia e la delusione di questo ragazzo sono rese in modo talmente vivido che il lettore non può fare a meno di avvertirle: «Vorrei solo urlare. Urlargli contro. Urlare contro tutti loro. E contro nessuno in particolare. Vorrei soltanto scaricare il dolore e la delusione che mi seguono da troppo tempo e smetterla di sentirmi inadeguato ogni volta che sono con la mia famiglia».
Eppure nel momento in cui inizia a interagire con Julian e ad aiutarlo, standogli vicino per poter lenire la sua sofferenza, avverte una gratificazione che pian piano si trasforma in attrazione nei confronti della persona che sta imparando a conoscere, con un sentimento che inevitabilmente lo spaventa: ha sempre dato per scontata la sua eterosessualità, provare un interesse così forte per un uomo è un qualcosa di sconosciuto che fatica a comprendere e vorrebbe negare. In questo frangente l’autrice ci mostra con sapienza che la sessualità non ha etichette predefinite e che qualcosa di davvero giusto va oltre i confini mentali che vengono imposti. Il percorso di Deacon sarà cercare di comprendere tutto questo: «Sento il corpo bruciare a ogni confessione che rivela, e lo odio per questo. Lo odio perché provo le stesse cose, lo odio perché mi rende quasi impossibile allontanarmi da lui. Lo odio mentre mi getto tra le sue braccia, perché so con assoluta certezza che non lo odio affatto».
Julian ha alle spalle un passato di dolore e solitudine che ha avuto inizio già quando era molto piccolo, l’incontro con Rhett gli era apparso come una luce che aveva illuminato la sua esistenza e si era dedicato a lui sacrificando anche se stesso: «Un’infinita successione di speranza e disperazione che mi ha causato ferite così profonde da non credere di poter tornare a una vita normale. Quelle emozioni così violente hanno fatto parte della mia vita così a lungo, da farmi apprezzare un’esistenza di perfezionata monotonia». L’incontro con Deacon, il sentirsi attratto da lui, non solo per il suo aspetto fisico, ma anche per quella gentilezza inaspettata, per quella comprensione reciproca che va oltre la compassione, inizia a scuoterlo da quel limbo privo di emozioni in cui voleva rimanere per non soffrire di nuovo, facendo, tuttavia, emergere i sensi di colpa: «La sua empatia. La sua sincerità. La sua generosità. Tutto questo si sta scavando un posto nel mio petto, un posto che non è il suo e che non dovrei voler cedere così». Il percorso di Julian sarà non solo cercare di elaborare il lutto, ma anche comprendere cosa sia stato l’amore che ha provato per Rhett, come abbia inciso sulla sua giovane vita e cosa significhi un futuro con Deacon: «Il fatto che ti manchi non significa che tu debba sempre essere triste, e se sei felice non vuol dire che tu lo abbia dimenticato».
“Senza di te” è un romanzo splendido che narra con disarmante sincerità di dolore e perdita e di come un amore profondo possa non solo guarire le ferite, ma apparire anche come l’unica meta giusta cui tendere: «Tu sei il battito del mio cuore, il sangue nelle mie vene, la forza nelle mie ossa. Non può funzionare nulla di me, senza di te. E sei hai bisogno che te lo ripeta per ogni maledetto giorno della nostra vita, lo farò perché sei più che abbastanza, per me. Tu sei tutto».

VALUTAZIONE: 5+/5

giovedì 4 marzo 2021

“Una tata per Nate” di Lisa Worrall

TITOLO: Una tata per Nate (Titolo originale: “A Nanny for Nate”) 
AUTORE: Lisa Worrall 
CASA EDITRICE: Triskell Edizioni 
GENERE: Contemporaneo 
TRADUTTORE: Barbara Belleri 
"Una tata per Nate" è un breve romanzo di Lisa Worrall, che in poche pagine è riuscita a creare una storia dolce ed edificante, che narra di una rinascita dopo un drammatico lutto. 
Parker Adams, un giovane avvocato, ha perso suo marito Darren poco più di un anno prima, investito da un’auto mentre andava in bicicletta di sera. Il dolore per la perdita di un uomo che ha amato con tutto se stesso si unisce al rimpianto per non essergli stato vicino mentre era in fin di vita e per non aver fatto abbastanza per convincerlo a sistemare le luci della sua bicicletta, al punto che di notte è tormentato dagli incubi in cui crede di sentire la voce del marito. 
Parker si impegna al massimo nel suo lavoro di avvocato, anche per garantire al loro figlioletto di sette anni, Nate, tutto ciò che serve. Il lavoro, quindi, lo tiene spesso lontano da casa, costringendolo ad affidare Nate ad Ellie, una vicina che sa gestire molto bene i bambini. Tutto questo fino a quando Ellie non è costretta a trasferirsi per motivi familiari. A quel punto Parker, su insistente suggerimento della sua vicina, inizia a cercare una tata che viva con loro tutto il tempo e che dia al bambino una certa stabilità: per circostanze "fortuite", indirizzate dal piccolo Nate, nell’esistenza di Parker irrompe Jake Walsh, ragazzo molto attraente, che si rivela bravissimo nella gestione casalinga. Ma per Parker il ragazzo diventa da subito qualcosa di più di una semplice "tata" alle sue dipendenze: non c’è solo l’attrazione tra i due che si fa sempre più irresistibile, ma anche la consapevolezza di quanta luce abbia portato Jake nelle vite di Parker e di suo figlio. Il suo cuore oppresso dal senso di colpa e dalla paura di tradire Darren dovrà cercare di aprirsi a Jake, altrimenti rischierà di perdere anche lui. 
L'autrice, con una scrittura semplice e accattivante, riesce a trattare con la giusta leggerezza temi importanti, delineando con efficacia i quattro protagonisti di questa storia. Parker riesce a essere generoso con gli altri, ma molto severo con se stesso, è forse l’unico a credere di non essere un buon padre, convinto di dover fare tutto da solo senza chiedere aiuto. Jake è solare, affascinante, ironico, bravo nel gestire tutto ciò che riguarda il piccolo Nate, nei cui confronti nutre da subito un grande affetto: «Osservando il proprio riflesso nello specchietto, il suo sorriso si allargò così come la sua eccitazione. Sua madre aveva ragione … chi poteva capire i bambini meglio di un bambino che non era mai cresciuto?». Nate è un bambino dolce e intelligente, che adora suo padre Parker, soffre per il fatto di non vederlo spesso e di non poter mai parlare dell’altro suo padre Darren, forse è il primo a capire quanta importanza potrebbe avere l’arrivo di Jake. Infine, Darren è il marito scomparso, un uomo di grande cuore e di spiccata ironia che rivediamo attraverso i ricordi dei suoi amati Parker e Nate e la cui “voce” avrà un ruolo molto importante nella storia. 
Nel breve romanzo si parla, dunque, di famiglie omogenitoriali e, inevitabilmente, anche di lotta contro i pregiudizi, considerato che non tutti riescono ancora ad accettare che due padri possano crescere con amore un bambino: «Gli sarebbe piaciuto andare da Billy Potts e mostrargli cos’era veramente un labbro rotto, ma sapeva che le parole che il bambino aveva usato non erano sue. Nessuno nasce bigotto, ma è qualcosa che si impara crescendo». 
Ma “Una tata per Nate” è, soprattutto, un romanzo che mostra la capacità di trovare un equilibrio nei propri sentimenti, il tentativo di acquisire la consapevolezza che aver amato qualcuno che non c’è più non impedisce di trovare ancora la felicità. Anzi è proprio quell'amore a dover dare la forza per andare avanti: «Il suo credo personale diceva che non dovevi avere paura di ricordare coloro che avevi perso. Bisognava essere capaci di parlare di loro, prima con le lacrime e poi con la gioia». 

VALUTAZIONE: 4/5

lunedì 1 marzo 2021

Serie “Lavender Shores” di Rosalind Abel (Volume 3)

TITOLO: “La Veranda” 
SERIE: Lavender Shores #3 
AUTORE: Rosalind Abel 
CASA EDITRICE: Quixote Edizioni 
GENERE: Contemporaneo 
TRADUTTORE: V.B. Morgan 
“La Veranda”, il terzo volume della serie “Lavender Shores” di Rosalind Abel, è una storia particolare che narra di un amore che sembrava impossibile nel momento in cui è nato, ma che ha avuto la sua occasione fondamentale dieci anni dopo. 
Donovan Carlisle è lo psicologo di Lavender Shores, abituato ad ascoltare sfoghi e confidenze dei suoi concittadini quasi fosse un confessore. Lui stesso ha dovuto ricorrere all’analisi per venire a patti con la sua situazione familiare e il suo passato. Dopo diversi anni e alcuni tentativi falliti, non riesce ancora a instaurare una relazione stabile, considerato che la sua mente e il suo cuore continuano a essere totalmente occupati dall’amore e dall’attrazione che prova per Spencer, il marito di sua sorella Erica. 
Spencer Barton era arrivato a Lavender Shores diversi anni prima con l’intenzione di lasciarsi alle spalle la sua famiglia molto religiosa e poco tollerante e i condizionamenti subiti durante l’infanzia e l’adolescenza. Nonostante i tentativi, non era mai riuscito a mettere da parte la vergogna e i sensi di colpa per la propria omosessualità e, dopo aver incontrato Erica Epstein e aver intrecciato con lei una relazione, aveva deciso di sposarla dopo aver scoperto di aspettare un figlio. Spencer era convinto di poter avere una vita considerata normale con una moglie e dei figli e di non essere più gay, ma l’incontro con Donovan, venuto a conoscere il futuro marito di sua sorella, gli aveva fatto crollare questa debole convinzione. 
Sono trascorsi dieci anni da quell’incontro, durante i quali Spencer ha cercato di seppellire la sua attrazione segreta per suo cognato e di tenere a bada i suoi impulsi, tentando in ogni modo di essere un marito fedele e un padre amorevole, oltre che un talentuoso avvocato. Dunque, il romanzo prende avvio mostrandoci Donovan e Spencer esattamente dieci anni dopo la prima volta in cui si sono visti: il loro incontro inaspettato a un sex party in cui sono entrambi in maschera, l’occasione per Spencer, che ha appena divorziato e sta finalmente sperimentando la sua sessualità, di avere Donovan per sé almeno una volta, le sensazioni di Donovan che ha riconosciuto suo cognato, ma non sa se lui è stato a sua volta riconosciuto. 
Ho amato molto il modo in cui l’autore ha costruito le vicende successive a quell’incontro, il reciproco svelarsi di questi due uomini, le loro fragilità, il tentativo di dare vita a un sentimento che hanno tenuto celato per troppo tempo, dando finalmente sfogo alla loro attrazione con quell’erotismo sensuale e coinvolgente che Rosalind Abel sa esprimere molto bene: «Mi stava toccando. Dopo tutti quegli anni, mi stava finalmente toccando. Sembrava che non fossi in grado di capire a fondo quella nuova realtà, e non importava quante volte mi ripetessi le stesse cose». 
È emozionante vedere come entrambi comprendano pian piano quanto il desiderio che hanno dovuto tenere nascosto sia in realtà cresciuto negli anni evolvendosi verso un sentimento speciale nel quale tutti e due si sentono a loro agio come se indossassero finalmente la loro vera pelle: «Lo vidi anche nei suoi occhi; ciò che era cresciuto fra noi nel corso di dieci anni, quella cosa che avevo finto fosse univoca, quella che avevo giurato di ignorare … era molto più di semplice lussuria. Avevo mentito a me stesso al riguardo, e lo sapevo. Ciò su cui non potevo ingannare me stesso, nemmeno per un istante, era la certezza che quello sguardo e quel bacio non sarebbero stati gli ultimi». 
Lavender Shores, come sempre, si rivela un luogo incantevole e accogliente, ma quella intimità tra i suoi abitanti si traduce spesso in un’arma a doppio taglio, con le notizie che circolano velocemente e le persone pronte a formulare i propri giudizi taglienti. La relazione tra lo psicologo della città e il cognato che ha appena divorziato è una di quelle notizie che possono creare scalpore e i due uomini cercano di mantenere riservato il proprio rapporto almeno finché non avranno trovato il modo di rivelarsi ai propri familiari. Tenero e dolce è, dunque, il loro impegno nell’iniziare finalmente a vivere il loro rapporto con le fughe a San Francisco in cui possono essere solo Donovan e Spencer: «Eravamo solo due uomini che passavano la serata insieme, due uomini che si erano girati intorno per dieci anni». 
Mi ha molto colpito il modo con cui l’autore ha cercato di sottolineare più volte la naturalità del rapporto tra i protagonisti: il fatto di essersi amati, seppure a distanza e di nascosto, per dieci anni ha contributo a rendere normale il loro stare insieme, come se finalmente avessero conquistato la giusta dimensione: «Anche se stare con Spencer era una cosa nuova, sotto molti punti di vista, sembrava una vita del tutto normale. Qualcosa di incredibile ma, al tempo stesso, comune, naturale. E ancora, non sapevo se si trattasse di tutti quegli anni passati a desiderarlo, o se fosse perché lo conoscevo così bene, oppure perché era così che l’amore funzionava. Qualunque cosa fosse, era giusta. Sotto gli strati di desiderio, attrazione e bisogno, sembrava semplicemente giusto» 
Il luogo simbolo dell’unione tra i due protagonisti è la veranda, il portico ben curato che circonda la casa di Donovan, in cui i due protagonisti amano sedersi la sera, incuranti di farsi vedere dai passanti e orgogliosi dei sentimenti che provano l’uno per l’altro: «La veranda era splendida, brillava, persino, nella lieve penombra serale. La luce delle lanterne opposte a noi tremava nel riflesso sul legno laccato, e le candele donavano un colore particolare alla cascata di piante lì vicino. Il reticolo sopra le nostre teste e l’ampia ringhiera servivano a creare un luogo protetto e appartato, pur mettendoci in mostra per tutto il mondo. O almeno per tutta Lavender Shores» 
“La Veranda” è un romanzo con uno svolgimento più lineare rispetto ai precedenti, ma questo non lo rende meno coinvolgente, grazie all’attenzione riservata allo sviluppo graduale della relazione tra Donovan e Spencer, con le piccole conquiste che li portano a svelare ciò che provano a dispetto di ostacoli e incomprensioni di alcuni familiari: «La cosa che contava non era essere notati, ma il fatto che non avessimo più bisogno di nasconderci». È una storia ricca di dolcezza e sentimenti profondi, capace di suscitare riflessioni importanti sulla necessità di vivere la propria esistenza senza condizionamenti, buttando via i sensi di colpa e lasciandosi andare alle proprie sensazioni: «Quella era la mia accettazione, la mia pace, la mia gioia e il mio conforto. Quello era l’uomo che ero, o almeno uno dei molti aspetti di me, e l’avevo finalmente capito». 

VALUTAZIONE: 4,75/5