venerdì 4 settembre 2020

“La statua di sale” di Gore Vidal

TITOLO: “La statua di sale” (Titolo originale: “The City and the Pillar”) 
AUTORE: Gore Vidal 
CASA EDITRICE: Fazi 
GENERE: Narrativa 
TRADUTTORE: Alessandra Osti 
L’ossessiva ricerca di un amore giovanile, un sentimento che inevitabilmente si rivela evanescente e illusorio, è questo ciò spinge Jim Willard, il protagonista del celebre romanzo di Gore Vidal, “La statua di sale” (Fazi 2009), a intraprendere un intenso viaggio nel disperato tentativo di chiudere un cerchio, di ritornare a rivivere il passato. Un peregrinare che si trascina lungo gli anni della giovinezza, che trasforma lo stesso Jim, ancorato agli eventi trascorsi e insensibile alle attenzioni e ai sentimenti altrui, in una statua di sale, con un chiaro riferimento a un episodio biblico: la fuga di Lot e della sua famiglia dalla città di Sodoma distrutta dall'ira divina, l'imprudenza della moglie che, con lo sguardo rivolto all'indietro, alle rovine ormai superate, viene pietrificata. 
Ambientato tra la fine degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta, il romanzo racconta la vita di Jim, un ragazzo della Virginia, appassionato di tennis e insofferente nei confronti dell’ingerenza paterna. Poco più che adolescente, comprende di essere perdutamente innamorato del suo miglior amico Bob, di un anno più grande di lui, ma quel sentimento rimane sepolto nelle sue fantasie per molto tempo. 
Subito dopo la cerimonia di consegna del diploma di Bob, i due ragazzi decidono di trascorrere un fine settimana insieme in una capanna in riva al fiume. È in quell'occasione che i due ragazzi cedono alla passione in un incontro di istinti primordiali, un momento cruciale che segna il destino di Jim e che l’autore descrive con una grande forza espressiva: «Quando i volti si toccarono, Bob sospirò rabbrividendo e strinse forte Jim fra le sue braccia. Ora erano completi, l’uno divenne l’altro, quando i loro corpi si unirono con una violenza primordiale, simile con simile, metallo con magnete, la metà con l’altra metà e il tutto ricomposto». Bob parte il giorno dopo imbarcandosi su una nave per soddisfare il suo desiderio di avventura e da quel momento Jim non lo rivedrà per diversi anni. 
Con questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1948, Gore Vidal volle distaccarsi dalle narrazioni di autori che lo avevano preceduto e che si erano limitate a trattare il tema dell’omosessualità in modo stereotipato raccontando di travestiti o di ragazzi solitari in preda a matrimoni infelici. L’autore concentrò la sua attenzione su due ragazzi americani “normali”, due atleti semplicemente attratti dal genere maschile, suscitando grande scalpore e reazioni contrastanti, soprattutto da parte di chi non riusciva ad accettare quella normalità. 
La fluida narrazione, che ripercorre gli incontri e le esperienze di Jim nel corso di sette anni segnati da drammatici eventi storici (il dominio nazista, il secondo conflitto bellico), si avvale di una prosa lineare, in cui l’autore ha inteso eliminare ogni elaborazione rendendola il più possibile dura ed essenziale. Eppure, tale purezza di stile non impedisce di avvertire il pulsare delle emozioni di Jim, il lento percorso interiore, la presa di coscienza del suo essere, tra la rabbia e la paura di non potersi rivelare al mondo, i sentimenti per Bob che continuano a invadere la mente, le sue riflessioni sul futuro e sulla morte durante una grave malattia: «Il sole tiepido lo scaldò. Il sangue scorreva rapido nelle vene. Era consapevole della pienezza della vita. Esisteva nel presente. Questo era abbastanza. E forse negli anni a seguire avrebbe avuto una nuova visione, qualcosa che lo avrebbe aiutato, in qualche modo, a ingannare la realtà del nulla». 
Il lungo girovagare di Jim è una sequenza di incontri, con tre amanti che, pur non riuscendo a carpirne il cuore, ne segnano la crescita umana, figure quasi tragiche, ideali rappresentanti di realtà in apparenza distanti tra loro, ma accomunate dalla incapacità di raggiungere un sereno equilibrio nei rapporti personali e di infrangere il velo di ipocrisia che li soffoca: Ronald Shaw, il superficiale ed egocentrico attore, che gestisce la sua vita drammaticamente come in un perenne film; Paul Sullivan, lo scrittore fallito che ricava piacere dalla sua stessa sconfitta; Maria l’ereditiera sensibile, spesso intrappolata in relazioni impossibili e alla ricerca di una completezza che non riesce mai a raggiungere. 
Un sapore di amarezza e disfatta è ciò che si avverte arrivati al termine. Con “La statua di sale” Gore Vidal ha voluto infrangere l’ideale romantico, condannare chi si rivolge con insistenza al passato, portarlo a scontrarsi con la caduta delle proprie illusioni. Eppure un piccolo spiraglio viene lasciato aperto, l’idea che forse non tutto è stato vano: «Una volta di più fu sulla riva di un fiume, finalmente conscio che lo scopo dei fiumi è di sfociare nel mare. Niente cambia. Eppure nulla di ciò che è, potrà mai essere ciò che è stato. Affascinato, guardò l’acqua infrangersi fredda e scura contro l’isola di pietra. Presto sarebbe andato via». 

VALUTAZIONE: 4,5/5

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