TITOLO: Cose che succedono la notte
AUTORE: Peter Cameron
CASA EDITRICE: Adelphi Edizioni
GENERE: Narrativa
TRADUTTORE: Giuseppina Oneto
Peter Cameron è un autore al quale sono particolarmente affezionato, soprattutto per lo struggente “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, un romanzo forte e intenso che mi ha procurato una stretta allo stomaco con quell’adolescente problematico che con la sua irriverenza e le sue riflessioni costringe il lettore a porsi molte domande.
“Cose che succedono la notte” mi ha, invece, totalmente spiazzato, mostrandomi fin dalle prime pagine uno scrittore diverso da quello che ho imparato a conoscere e ad amare. Eppure questa storia così surreale, sospesa tra atmosfere quasi fiabesche e sensazioni oscure, mi ha incuriosito e coinvolto.
Il romanzo inizia con il viaggio, ormai giunto al termine, di questa strana coppia senza nome, i cui componenti sono identificati semplicemente come “l’uomo” e “la donna”, “il marito” e “la moglie”, quasi a voler dar loro un’identità astratta. I due coniugi hanno faticosamente raggiunto una località “ai confini del mondo”, una piccola cittadina nel Grande Nord, in cui “l’inverno, in fondo, non era che una notte, una lunga notte seguita da un lungo giorno”.
Una stazione deserta ricoperta dalla neve e sferzata da un vento gelido, è questa la prima immagine che accoglie questi due viandanti: è evidente il senso di smarrimento di entrambi, la sensazione di scoraggiamento dell’uomo, la prostrazione e il dolore della donna nel momento in cui varcano la soglia dell’albergo in cui alloggeranno nei giorni successivi per realizzare il loro obiettivo.
Questo enorme edificio si mostra dapprima spettrale e deserto, per poi rivelare la presenza di personaggi particolari che iniziano ad animare il soggiorno dei due protagonisti e a incidere sulle loro esistenze. Nel bar dell’albergo, questa bizzarra isola luminosa, l’uomo incontra lo strano barista che sembra totalmente concentrato sul suo lavoro, salvo poi mostrare reazioni inaspettate, e subito dopo un’anziana signora che suona il piano nella hall e si mostra ben disposta a parlare degli argomenti più svariati e strampalati. Livia Pinheiro – Rima, è questo il suo nome, sembra aver provato numerose esperienze nella sua lunga vita e ha sviluppato una sua concezione filosofico esistenziale con cui sembra voler scuotere l’uomo dalla sua apatia: «Ci sono cose nelle quali mi esercito ogni giorno e una è questa. Ripetendole quotidianamente non le dimenticherò mai. La gente in questo senso si arrende troppo facilmente. Lei, ad esempio». L’uomo rimane davvero sconcertato dalla spontaneità di questa donna così particolare, soprattutto per le sue stoccate a volte ciniche e pessimistiche: «Prima o poi vanno tutti a letto dico bene? Sono cose che succedono la notte. Le persone spariscono, sempre che ci siano mai state. La vita è orrenda, infame, come e più del tempo».
L’autore ci trascina nella sua narrazione con una scrittura che risulta in alcuni punti evocativa e ricca di suggestioni oniriche, mentre in altri è talmente essenziale da dare l’impressione che i protagonisti siano quasi abbandonati a loro stessi.
Il fine dei due coniugi è quello di recarsi in orfanotrofio e adottare il bambino da loro scelto: la donna sa di avere poco tempo da vivere a causa di una malattia e vuole che suo marito possa avere un figlio cui dedicare le proprie cure quando la moglie non ci sarà più. È una decisione che può sembrare egoistica, ma che i due coniugi sembrano voler realizzare con determinazione.
In questo percorso che si snoda lungo sette capitoli, quanti sono i giorni di permanenza in questa fredda località nordica, e che inizia con il buio totale per terminare con un raggio di sole, l’uomo e la donna devono fare i conti con dubbi e angosce, con il dolore della malattia e con nuove consapevolezze. L’impressione è che sia la donna a compiere l’evoluzione più importante nel momento in cui incontra un guaritore che, al posto di una cura miracolosa, sembra mostrarle una visione diversa della propria esistenza.
L’uomo, invece, si imbatte in un ricco uomo d’affari che di primo impatto si mostra volgare e arrogante, ma che con la sua peculiare fisicità, un erotismo prorompente e una dolcezza inattesa, induce il protagonista a far emergere sensazioni lungamente represse: «Ci imbattiamo regolarmente in queste forme di contatto, pensò, e ci siamo assuefatti. Per questo desideriamo tanto il sesso e ci eccita la violenza: sono le uniche cose che riusciamo ancora a sentire, le uniche che scalfiscono la nostra armatura».
Il tutto, in ogni caso, appare piuttosto nebuloso: i protagonisti, nei loro cambi di rotta, sembrano in alcuni punti quasi agire in automatico senza una vera e propria introspezione che faccia davvero capire cosa si stia muovendo al loro interno, dando a volte l’impressione di non essere realmente toccati da determinati avvenimenti. Ma probabilmente l’intento dell’autore era proprio quello di rappresentare due anime quasi alla deriva, disorientate e in cerca di una luce.
Nel complesso, “Cose che succedono la notte” è un buon romanzo, a tratti surreale, a tratti interessante e coinvolgente, che propone diverse riflessioni sull’esistenza umana e induce a interrogarsi sull’autenticità di certi rapporti: «Non ha niente a che fare con l’amore. La gentilezza – che parola orrenda! – la riserviamo a chi non amiamo, a chi non possiamo amare».
VALUTAZIONE 4/5
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